In 5 anni 9000 imprese in meno
 

Pubblicata la terza edizione del volume che raccoglie tutte le cifre di un settore in evoluzione

 

Autotrasporto, in 5 anni 9.000 imprese in meno: boom delle società di capitali, padroncini in declino

 
  • Presentato oggi a Milano, in occasione del Transpotec Logitec, il libro «100 numeri per capire l’autotrasporto. Storie in movimento», edito da Federservice – Uomini e Trasporti: un ritratto in cifre dell’autotrasporto in cui, attraverso lo studio di dati statistici, viene messo a fuoco un settore in continua trasformazione.
  • I numeri dicono che oggi è in corso un consolidamento organizzativo e strutturale del comparto, evidenziato dal costante ridimensionamento delle aziende monoveicolari (-20,8% tra il 2016 e il 2021), anche note come «padroncini», e dal crescente spazio occupato dalle società di capitali (+22,7%).
  • Il tramonto dei padroncini è legato non solo alla crisi economica e alla concorrenza sempre più agguerrita – e spesso sleale – dei vettori stranieri, ma anche a situazioni di sofferenza nel sistema logistico e infrastrutturale. Su tutte, le interminabili attese al carico/scarico (in media 4,35 ore al giorno) che costringono a lavorare su regimi inevitabilmente lenti e improduttivi.
 
 
 

Milano, 13 maggio 2022 – Diminuiscono le piccole imprese e crescono in modo consistente quelle medie e  grandi. Segno di un settore che sta cambiando pelle e che va nella direzione di una maggiore strutturazione e specializzazione. È l’istantanea scattata dal volume «100 numeri per capire l’autotrasporto. Storie in movimento», edito da Uomini e Trasporti – Federservice e presentato questa mattina a Milano nell’ambito del Transpotec Logitec 2022. La pubblicazione, giunta alla terza edizione (la prima nel 2017, la seconda nel 2019), è una vera e propria radiografia dell’autotrasporto in cui, attraverso lo studio di dati statistici, viene messo a fuoco un settore in profonda trasformazione. 

 

Dai dati del volume emerge come il settore italiano dell’autotrasporto abbia visto diminuire negli ultimi anni il numero di imprese. A certificarlo sono i numeri: dal 2016 al 2021 sono sparite 8.944 aziende di autotrasporto. In cinque anni, cioè, si è passati da 95.801 a 86.857 imprese, pari a un calo del 9,3%. Un trend di decrescita costante, considerato che nell’ultimo quinquennio si è assistito a un calo medio dell’1,9% annuo. In questo contesto, solo le società di capitali, vale a dire quelle medie e grandi, hanno fatto registrare un aumento in termini numerici. Questa forma di azienda è infatti schizzata da 20.195 a 24.781 unità, con un balzo in avanti del 22,7%. Al contrario, risultano nettamente in calo le ditte individuali e le società di persone – i cosiddetti «padroncini» – che perdono nel quinquennio rispettivamente il 20,8% e il 13,3%: percentuali che in cifre significano che sono sparite 11.385 imprese individuali e 2.048 società di persone. Anche nel loro caso il trend è costante e, dal momento che la distanza tra società di capitali e ditte individuali nel periodo considerato si è dimezzata (da 34.486 a 18.515 unità), se la tendenza rimanesse immutata nei prossimi anni, si potrebbe assistere a un clamoroso sorpasso entro la fine del decennio. Dunque, un autotrasporto più imprenditoriale e meno familiare.

I dati del volume non lasciano quindi spazio a incertezze: siamo di fronte a quello che potrebbe essere definito come il «tramonto dei padroncini». Del resto, il declino di questa categoria che per decenni ha rappresentato l’ossatura dell’autotrasporto italiano, era visibile da tempo. Tra il 2010 e il 2016, la prima edizione di «100 numeri per capire l’autotrasporto» già registrava un calo del 26,6%, con la scomparsa di 19.543 imprese individuali. Riportando a oggi quelle cifre, siamo passati dalle 73.395 aziende del 2010 alle 43.296 di oggi. La perdita secca è di 30.099 unità, quasi la metà dei padroncini allora in circolazione. Si tratta dunque di un processo strutturato da tempo, sul quale neppure il Covid ha inciso più di tanto, dal momento che la percentuale di decrescita è rimasta pressoché invariata sia tra il 2019 e il 2020 (-3,9%) che tra 2020 e 2021 (-4,6%).

Più che alla pandemia, dunque, il tramonto dei padroncini sembra maggiormente legato alla concorrenza – spietata e spesso illegale – dei vettori e degli autisti dei paesi dell’Est europeo, entrati a far parte dell’Unione tra il 2004 (Polonia, Repubblica Ceca, Slovacchia, Slovenia, Ungheria) e il 2007 (Romania e Bulgaria). Di fronte a un’offerta di trasporto basata sul basso costo del lavoro e su una tassazione più morbida, molte ditte individuali italiane non hanno retto. Ma c’è anche un altro fattore che costringe i padroncini ad allontanarsi dal camion o, quantomeno, a confluire in realtà più grandi e articolate: una vita disagiata non più adeguatamente remunerata e, per di più, complicata da una serie di disfunzioni prodotte dal deficit del nostro sistema logistico e infrastrutturale. Deficit che chi è da solo, e quindi più debole, non riesce a sopportare. Prendiamo come riferimento, ad esempio, il tema delle attese al carico e scarico delle merci. Anche in questo caso i numeri contenuti nel volume sono eloquenti: in un arco d’impegno medio di 11,28 ore al giorno, è stato calcolato che chi guida un camion si trova costretto a trascorrere in media quasi la metà del tempo (4 ore e 35 minuti) nell’attesa che vengano espletate le operazioni di carico e scarico. Un’attesa interminabile e insopportabile, causata da una lunga serie di inefficienze lungo la catena logistica (errata pianificazione degli spazi di magazzino, tempi di accettazione delle merci troppo ridotti, lungaggini burocratiche, ecc.). Tutto ciò non solo causa un’importante perdita di produttività, ma ha anche delle ricadute sullo stress e sullo stato di salute psicofisico complessivo del trasportatore, derivante sia dai tempi morti che dall’ansia di dover recuperare e riallinearsi alla tabella di marcia. Non sorprende, quindi, che questa situazione crei disaffezione nei confronti di chi deve svolgere in completa autonomia il servizio di trasporto merci, assumendosi il conseguente rischio di impresa e subendo il peso delle infinite variabili che rallentano la propria operatività giornaliera.

Un altro numero restituisce il senso di quanto affermato: ogni giorno in media in 11,28 ore chi guida un camion riesce a percorrere appena 383,61 chilometri. Ciò significa che la sua velocità commerciale, quella cioè che tiene conto dell’intero quantitativo di tempo in cui è impiegato per coprire una distanza, inclusivo anche di tempi accessori e di soste, è mediamente appena di 33,45 km/h, proprio a causa delle lungaggini al carico e allo scarico delle merci. Se poi l’attesa si stratifica con i nodi e gli imbuti della rete, in quel caso il lungo tempo di impegno che brucia nell’attesa si somma con quello che il camion rimane in coda lungo le strade. Con il risultato che laddove una missione di trasporto contempli l’attraversamento di uno dei tratti della nostra rete tradizionalmente congestionati la velocità media dei circa 33 km/h tende ulteriormente a rimpicciolirsi segnando un ritmo più congeniale a una lumaca che a un mezzo pesante. Prendendo per esempio il caso di un camion che parte dalla provincia di Grosseto per recarsi a Genova, la sua velocità commerciale a causa del tratto ligure sprofonda in uno striminzito 26,7 km/h.

 
 

 

Il volume è stato pubblicato grazie al sostegno di DAF Veicoli Industriali, Studio Legale Zunarelli, Teloni Tosetto, Geotab, One Express, TN Service, VDO, Martino Consulting, Smet, Studio Mancini, Jost, Euromaster, Istobal, Teleroute, SAF-Holland, Petronas

 
 

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